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I ragazzi di 2 C e i loro racconti autobiografici

I ragazzi di 2C, che ringraziamo, ci chiedono di pubblicare i loro bellissimi racconti autobiografici. Con piacere lo facciamo... buona lettura! Grazie anche al prof. Salvo Gullo che li sta accompagnando verso il piacere non solo della lettura, ma anche della scrittura.

IL RISTORANTE INVISIBILE

“Tum tum”, sentii dei passi che si stavano avvicinando. “Tum tum”, il mio cuore iniziava a
battere sempre più forte dalla paura.
Dicomano, Toscana.
Il sole stava per tramontare, poche nuvole coloravano il cielo di un bianco intenso.
C'era poco vento che faceva ondeggiare piante, cespugli e ciuffi d'erba dal color verde
acceso.
Io, i miei genitori e mio fratello soggiornavamo in una piccola casa vacanza, in provincia di
Firenze, per il matrimonio di nostra cugina.
Guardando fuori dalla finestra, potevo avvertire il cinguettio degli uccellini che rallegrava
quegli ultimi giorni di agosto.
Per un momento mi fermai a riflettere al giorno in cui sarei tornata a casa e a tutte le cose
che mi sarebbero mancate di quel posto.
“Preparatevi! Adesso andiamo a mangiare” esclamò mio papà.
“Ma dove? In un ristorante di questo paese?” Gli domandai.
“No, ma è qua in zona. Non ci metteremo molto ad arrivare.”
Dovevamo perciò seguire le indicazioni del navigatore.
Erano quasi le sette di una calda giornata d'estate.
Una volta prese le chiavi, ci dirigemmo alla macchina.
Durante il tragitto, mi domandavo in quanto tempo saremmo arrivati a destinazione.
“Non può andare tutto per il verso giusto", pensai tra me e me.
In quella sera, tutto era perfetto e mi sembrava alquanto strano.
Guardando fuori dal finestrino, osservavo numerosi campi coltivati e, da lontano, intravedevo
delle capre brucare l'erba.
“C’è un problema!” Esclamò mia mamma.
“Perché capitano tutti a noi? È per caso finita la benzina?” le chiesi con occhi pieni di
agitazione.
“No. Il navigatore dice che siamo arrivati ma… attorno a noi non c'è niente.”
Da un lato, ero felice di non essermi sbagliata ma allo stesso tempo c'era qualcos'altro che
non mi convinceva.
Scesi dalla macchina e decisi di fare due passi:” Magari trovo il ristorante da sola” ipotizzai.
“Tu non vai da nessuna parte, è pericoloso!” Mia mamma come sempre cercava di
proteggermi e io, come sempre, non le diedi retta.
Così, mi diressi su una piccola stradina. Era quasi buio. Alla mia destra vedevo il cielo ormai
blu con alcune sfumature di azzurro e con alcune nuvole sempre meno evidenti.
Alla mia sinistra invece, il sole stava tramontando e i colori dei suoi raggi, entrando in
contrasto, formavano il rosa.
Intanto, sentivo dei versi di alcuni animali.
Non mi stavo accorgendo però, che il tempo, piano piano, stava passando.
Era buio quando mi resi conto che non ero tornata alla mia macchina.
Ero disperata e non sapevo cosa fare. Dopo pochi secondi, mi venne in mente che, con me,
avevo il mio telefono.
Per un attimo tirai un sospiro di sollievo ma… non c'era campo.
“Mamma, papà! Riuscite a sentirmi? Sono qui” sentii la mia voce rimbombare ma nessuna
risposta.
Dopo aver urlato altre volte, mi sedetti su quella che mi sembrava erba.
Intorno a me c'era buio pesto. Ero davvero stanca e avevo la pelle d'oca.
Non scorderò mai quel momento. Avevo fatto una scelta sbagliata e me ne stavo pentendo.
Tutto questo non sarebbe successo se avessi ascoltato le parole di mia mamma.
I brividi mi percorrevano tutta la schiena.
Ad un certo punto, udii dei passi punto sempre più forti, sempre più vicini…
La gamba mi iniziava a tremare. Decisi di nascondermi in un posto più sicuro.
Alzai la testa per sbirciare. Mi accorsi di una lucina.
Se prima stavo tremando dal freddo, in quel momento stavo sudando dalla paura.
Avevo il cuore in gola. Il mio unico desiderio era quello di scappare. Scappare e tornare dai
miei genitori.
Avevo imparato la lezione: non devo fare sempre di testa mia.
“Oh no!”, bisbigliai.
Avevo fatto rumore. Le mani iniziavano a sudare.
Ad un certo punto, sentii urlare il mio nome. Trattenni il respiro. Era una voce maschile… era
quella di mio papà.
Senza dire niente, gli presi la mano e tornammo alla macchina: mio fratello e mia mamma ci
stavano aspettando.
“Che fine hai fatto? Eravamo tutti in pensiero per te”, mi chiese Edoardo.
“Stavo andando a cercare il ristorante ma è diventato buio e mi sono persa. Poi è arrivato
papà. Non scorderò mai ciò che ho provato” gli risposi.
“Ora non pensarci. Abbiamo trovato il ristorante, andiamo!”
Una volta impostato il navigatore, ci dirigemmo verso il ristorante. Questa volta però, senza
sbagliare.
Anche quel giorno imparai una cosa nuova: non devo fare sempre di testa mia perché posso
finire in brutte situazioni, proprio come quella che vi ho appena raccontato.
Giulia Pizzaballa


Lo specchio che tramava un segreto

E voi, avete mai trovato uno specchio misterioso? Beh, io sì, e questa è la mia
storia.
Io e la mia famiglia eravamo sull'isola d'Elba in vacanza, per due settimane. In quel
momento io e mio fratello eravamo sdraiati a riposare sul divano dopo una lunga e
stancante giornata al mare.
Mia mamma e mio papà erano in corridoio, l'agitazione era nell'aria.
Non capivo bene cosa stessero complottando, ma se lo stavano facendo ci stavano
nascondendo qualcosa.
Ad un tratto mia mamma disse con voce spaventata:
《Daniel, Nicole, venite un attimo! 》
Guardai negli occhi Daniel, anche lui capì che ci stavano tramando un segreto.
Senza rispondere, ci alzammo. Arrivammo in corridoio, tutto normale, almeno questo
era quello che pensavo prima che il fatto accadesse.
C'erano mia mamma a destra e mio papà a sinistra, in mezzo a loro c'era uno
specchio. Io e Daniel stavamo aspettando che loro dicessero qualcosa. Nella mia
testa pensavo che fossero successe delle cose gravi, magari in famiglia.
In casa non volava nemmeno una mosca, fino a che mio papà bisbigliò:
《Volete saperla una cosa? 》Il tono di mio papà non era spaventato come quello di
mia mamma.
《Sì》 rispondemmo in una maniera semplice.
Mia mamma, senza dire nulla, aprì lo specchio. Si, avete capito bene, aprì lo
specchio!
La prima cosa che feci fu ridere, non ho ben capito perché mi misi a ridere,
probabilmente mi sembrava così surreale che non avevo preso sul serio la faccenda.
Mio fratello, invece, rimase a bocca aperta, senza dire nulla.
A parlare fu mio papà che, agitato, mi suggerì:
《Ti va di entrare? Io già l'ho fatto ed è stato incredibile! 》 Non disse proprio queste
parole, ma nella mia testa pensavo solo di catapultarmici; infatti, senza pensarci due
volte, entrai subito. Per entrare feci un po' di fatica, ma grazie allo sgabello che era
posto lì accanto salì più facilmente.
Appena misi un piede, mi sentivo in un'altra epoca. C'erano: mobili antichi, un letto
senza materasso, due comodini color noce punto le pareti erano bianche, ormai
sporche. Avevo gli occhi spalancati e allo stesso tempo il mio viso era sbiancato. Io
ero all'interno di uno specchio! Non riuscivo a crederci.
Mio fratello non entrò perché è allergico alla polvere, perciò per farmi invidiare
esclamai:
《Ehi Daniel, non sai cosa ti perdi! 》 Lui non rispose, ma mi lanciò delle
occhiatacce: ma era ora di andare in esplorazione di nuovi posti. Dopo qualche
minuto però uscì sapendo che il giorno dopo ci sarei sicuramente ritornata.
Mi piacerebbe ricordare di più di quella stanza, per descriverla con più dettagli.
Non mi sarei mai immaginata che in quella piccola e innocua casa si potesse svelare
un segreto così grande.
Una cosa è sicura: se potessi rivivere quel momento, non ci rinuncerei.
Nicole Paravisi


La chiesetta maledetta

Era una splendida giornata d'estate e il sole stava già bevendo il suo
caffè mattutino osservando la Terra.
Ho detto era perché non sapevo cosa mi sarebbe successo.
Mio papà ci aveva proposto di visitare una chiesetta che distava poco da
casa mia.
Giunti al parcheggio, mi accorsi che c’erano tre o quattro macchine. ”Un
po’ insolito per una meta turistica” pensai, ma non calcolai molto questa
opinione e ci incamminammo.
Era un meraviglioso bosco pieno di alberi e di cespugli, dove i boscaioli
non erano ancora arrivati.
“Papà, ma quanto è lontana la chiesetta? E lassù prenderà il telefono?”
“Non lo so, ma a che cosa ti serve il cellulare?”
“Devo chiamare la nonna per vedere se a casa c’è il gatto!”
Con il pensiero del mio micio in testa, camminavamo da più di mezz’ora
e il paesaggio diventava sempre più spaventoso: l’altezza cominciava a
farsi sentire.
A un certo punto, giunti in un luogo poco agile, mi si spalancarono gli
occhi e iniziai a tremare anche se faceva caldo. Non capivo più niente.
Ci eravamo persi! Questa era la mia unica certezza.
Intanto io e mio papà continuavamo a litigare e io non riuscivo a tenermi
in piedi. Il Signor “So tutto io” (mio papà) non ammetteva di aver fatto
una cavolata. In quel momento mi fermai: ero in panico totale, ma lo
nascondevo abbastanza bene; mi misi allora a pensare e a sforzarmi di
portare alla mente tutto ciò che avevo a cuore: il mio gatto, i miei amici e
i miei parenti; mi chiedevo se li avrei rivisti oppure no.
Ripresi così a camminare continuando a pensare ai momenti più belli
della mia vita.
Dopo un po’ trovammo un prato meraviglioso, si sentiva il cinguettio
degli uccellini ed eravamo soli, così io, in preda alla rabbia e alla
stanchezza, mi sedetti per terra ed esclamai: “Non mi interessa cosa mi
dite, io mi fermo, mi date il mio panino e vi aspetto qui.”
Mia mamma mi guardò e mi si sedette accanto urlando a mio papà di
andare avanti da solo; ma lui, molto arrabbiato, si fermò con noi.
Prendemmo i panini, ma io continuavo a guardare storto mio papà:
“Certo che non sai fare proprio niente, sei peggio di me, ogni volta che
fai qualcosa, fai solo danno!”
Ma lui, convinto di aver ragione, ribatteva: “Due cose: non rivolgerti mai
più a me così e io sono sicuro di aver fatto bene!”
Dopo un’oretta vedemmo passare due ragazzi che ci dissero che la
chiesetta distava molto poco. Sarei uscita salva da quel bosco!
Ma mi ripromisi di non fare più escursioni con mio papà per il resto della
mia vita.
Michela Salvetti

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