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Racconti autobiografici 2C...

  

La fenomenale gara

(on the road)

 

Vumm, vumm, vumm! Ragazzi, questa sì che è musica per le mie orecchie!

Tre, due, uno… Su i motori!

Durante questa rovente e magnifica estate, io e i miei genitori per la prima volta siamo andati al kartodromo di Pian Camuno, in provincia di Brescia. Il kartodromo era bellissimo, enorme, la sua pista si aggrovigliava come un serpente a sonagli, era tutto illuminato e, la cosa che più mi affascinò, è che era outdoor e indoor. Io ero super eccitato e, da giorni, pensavo a delle strategie vincenti; per esempio tentare un sorpasso durante una frenata dell’avversario o un sorpasso effettuato in chicane (doppia curva a esse). Quando sono sceso dalle scale, con lo sguardo mi sono soffermato sullo scaffale dei caschi: erano belli come il sole. I miei occhi erano talmente luccicanti che sembravano due piccole stelle tremolanti per l’emozione. Quando sono arrivato al box, ho iniziato a scegliere e a provare il mio casco. I miei genitori mi hanno chiesto in coro: “Va bene, Chri? E’ troppo largo?” Ma io rapidamente ho risposto: “Sì, tranquilli, va benissimo; fa solo molto caldo!”. Dopo aver aspettato dieci interminabili minuti, mi hanno assegnato il kart numero diciassette proprio come quello del grandissimo pilota francese Jules Bianchi, migliore amico del “Predestinato” Charles Leclerc (il mio secondo pilota preferito). Prima di partire ero super concentrato, avevo lo sguardo fisso nel vuoto e, come avviene nei giorni di intenso calore, in lontananza potevo osservare delle pozze di acqua che, in realtà, neppure esistevano. Un’altra gocciolina di sudore ha percorso la mia fronte. Sono partito abbastanza lento, facendo curva dopo curva, dopotutto dovevo prendere confidenza con il kart. Pensavo e dicevo tra me e me: “Dai Chri! Ce la puoi fare!”. Dopo due giri ho iniziato ad accelerare e, come un ghepardo, ho fatto ogni curva alla perfezione e ad alta velocità quasi come i miei piloti preferiti. Ho accelerato a tutto gas e sono riuscito a superare una pericolosa curva a gomito e, in un battibaleno, mi sono ritrovato su un lungo rettilineo. Ero già proiettato alla prossima curva, infatti mi domandavo se sarei stato in grado di superarla. Senza neanche rendermene conto, ho accelerato bruscamente e “Striiiii!,i miei occhi castani si incrociarono con quelli di un ragazzino a cui ho detto: “Ehi tu! Vedi di non tagliarmi più la strada! Quello che hai fatto è pericoloso e scorretto!”. Ho inchiodato di colpo facendo sobbalzare il kart. All’improvviso le gomme si sono bloccate, stridendo rumorosamente sull’asfalto e, senza neanche accorgermi, mi sono ritrovato contro il guardrail facendo un testacoda alla Max Verstappen, il mio pilota preferito. Ero un toro inferocito e mi usciva il fumo dalle orecchie. La mia faccia è diventata color rosso Ferrari. Con i pugni strettissimi, ho dato due colpi al volante e ho esclamato: “No, no, no!!”. Ero un po’ spaventato e arrabbiato: avevo il cuore che batteva a mille. A pensarci bene la velocità è un pericolo. Tutto questo aveva un solo significato. La bandiera gialla sventolava già alta nel cielo. La safety car era uscita dai box. Il signore della safety car mi ha domandato: “Tutto bene?”, e io gli ho risposto: “Sì, sto bene”.

Velocemente ho messo la retro e sono ripartito. Dopo un po’ di giri ho iniziato a rimontare da ultimo a settimo. Mancavano solo cinque giri ed ero quinto. Dinanzi a me avevo un ragazzino che aveva la mia stessa età e che in tutti i modi cercava di non farmi passare.

Ho schiacciato l’acceleratore al massimo della potenza, l’ho superato in chicane e le gomme hanno fatto “Fii fii!”. Mancavano due giri ed ero terzo. Cercavo di mantenere la calma. All’ultimo giro l’adrenalina era salita al massimo. Mancavano quattro curve. Durante una frenata sono riuscito a superare un altro ragazzino e ho tagliato il traguardo da secondo! S Subito dopo sono  rientrato ai box, ho parcheggiato il mio “gioiello”, ho slacciato la cintura di sicurezza e, ancora emozionato e su di giri, sono saltato fuori dal “king” (nome che ho coniato per indicare la monoposto di Max e lui stesso) come un canguro. Sono volato dai miei genitori e, con le lacrime agli occhi, ho esclamato: “Ce l’ho fatta!” e loro hanno replicato: “Bravissimo Chri! Sei stato un super campione!!”. Tra me e me pensavo: “Per essere la prima gara della tua vita sei stato davvero bravo”. Mi sentivo fiero di me stesso come se quella gara fosse stata l’inizio della mia mitica carriera da pilota.

Nella vita bisogna sempre essere fieri di se stessi. Bisogna credere nelle proprie capacità e non arrendersi mai ai primi ostacoli.


Christian Amighetti

     Tum Tum

 

1,2,3… E continuai così fino al momento del disastro.

Erano le 11 del martedì e come tutti i martedì ero stanco, anzi stanchissimo.

Quel giorno non ero andato a scuola, ma al centro vaccinazioni di Zanica perché dovevo vaccinarmi.

Avevo la testa fra le nuvole, sapevo che sarebbe andato tutto bene, ma non è andata proprio così.

Ero seduto su una sedia blu piena di piccoli forellini, così per passare il tempo incominciai a contarli.

“Mamma, quando arriva il mio turno?”, le chiesi dopo un po’.

“Tra poco dovrebbe toccare a te, stai tranquillo”, mi rassicurò lei.

Dopo circa 20 minuti finalmente arrivò il mio turno, e per qualche strano motivo mi venne un brutto presentimento.

Entrai e mi fecero sedere su un lettino blu come il mare, molto soffice e comodo.

Non volevo vedere l’ago che mi avrebbe perforato il braccio, allora fissai una delle quattro pareti di un colore giallo spento.

Andò tutto liscio, non avevo sentito niente, così quel brutto presentimento se ne andò all’ istante.

Cominciai a tranquillizzarmi, ma ecco che qui entra il gioco il detto: ”Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.”

Non erano passati dieci secondi che…”Non mi sento bene”, dissi un po’ agitato. E la risposta fu:“Non è niente di grave sdraiati che ti passa.”

Feci come mi venne detto e il malessere sembrava passato.

Allora ci fecero uscire in sala d’attesa, intanto che vaccinavano gli altri.

Sembrava tutto a posto, ma dopo un po’ quel malessere ricominciò.

Una nebbiolina mi circondava la testa, sembrava che mi stesse soffocando e per di più era congelata.

I dottori allora mi fecero sdraiare su un altro lettino, stavolta bianco, e lì mi attaccarono uno strano aggeggio con la forma di una bocca di alligatore, poi una fascetta che mi stringeva il braccio.

A un certo punto udii:“Non riesco a misurargli la pressione, che strano”, e poco dopo:“Ha solo 40 battiti! Chiamate il 118!”

Fu allora che sentii la mamma che parlava al telefono. “Pronto 118, mio figlio ha solo 40 battiti! Fate preso! Siamo al centro vaccinazioni di Zanica in via…”

Avvertii allo stesso tempo caldo e freddo per qualche secondo, e poi chiusi gli occhi.

Credo che da quel momento in poi ero svenuto, anche la mamma mi disse poi che le mie pupille erano scomparse.

Quello che successe me lo raccontò proprio la mamma.

Mi disse che arrivarono sei persone e una di loro, probabilmente il capo, iniziò a dare ordini agli altri.

Mi misero sopra una barella, mi coprirono con un telo arancio e mi portarono in ambulanza.

Mi svegliai con il suono delle sirene come se non fosse passato mezzo secondo.

Ero scioccato, ma soprattutto confuso.

Dopo un po’ mi accorsi che vedevo bene e respiravo normalmente.

Che bello! Che bello! Che bello! Urlai nella mia testa.

Ero felicissimo.

“Mamma riesco a vedere  e a respirare!”

"Menomale! Stai sdraiato e tranquillo prima che ti ritorni ancora.”

Anche oggi ogni tanto mi vengono queste reazioni, ma più lievemente.

Questa storia è una di quelle cose di cui non ti dimentichi neanche se ci provi.

Dopo questa avventura ho paura dei prelievi e dico sempre alla mamma

che non voglio più vedere un ago in vita mia.

 

  Mattias Parietti

UN’AVVENTURA INDIMENTICABILE

 

Avete mai vissuto un’avventura così terrificante da non dimenticarla più? Beh, io sì, e ve la racconterò.

Io, la mia famiglia e dei nostri amici eravamo in montagna, in un luogo magico, pieno di fiori e piante con un’aria molto pulita.

Io ero come una palla infuocata in una giornata nuvolosa e triste.

Avevamo appena finito di fare merenda, così decidemmo di andare a esplorare il territorio; ci imbattemmo subito in un ruscello, la sua acqua era limpida e ghiacciata.

La nostra vicina ci propose di andare in un sentiero che aveva scoperto:”Dai ragazzi, andiamo un po’ a esplorare la natura, vi porto in un bellissimo posto! Così bello che non lo dimenticherete più!”.

Io esclamai:”Ok! Io amo le avventure! Partiamo subito?”; lei mi rispose di sì con la testa e la nostra avventura cominciò.

Per prima cosa scalammo una salita ripidissima, coperta da una sostanza fangosa e circondata da alberi fittissimi pieni di muschio scivoloso e pieni di piccoli insetti.

Mentre salivo sentii un lungo brivido percorrermi la schiena: presentivo che qualcosa non sarebbe andato bene.

Dopo essere saliti, abbiamo percorso un lungo e stretto sentiero immerso nella natura; io ero l’ultima della fila e mi domandavo se da un momento all’altro sarebbe sbucato un animale o una persona.

Sentivo il sudore scendermi per tutto il viso, ma il brutto presentimento non mi lasciava respirare.

Dopo qualche minuto ci siamo trovati sopra un grandissimo masso scivoloso e umidiccio.

Una ragazzina che non avevo mai visto ci disse:”Per scendere dovrete attraversare questo sentiero”, indicandoci la direzione con la mano. Io allora domandai: ”Sei sicura che dobbiamo scendere proprio da qua?” mandando giù un boccone di saliva; lei esclamò: ”Certo! Sono sicura al 110%!”.

Io nella mia testa mi chiedevo se era la cosa giusta da fare, ma alla fine decisi di fare come mi aveva detto lei.

Appena iniziato il sentiero, percepivo che il brutto presentimento si avvicinava, ma non dissi nulla a nessuno.

Arrivati a metà sentiero, mi punsi con l’ortica: ”Alla fine avevo ragione sul brutto presentimento”, dissi tra me e me. Per colpa dell’ortica cominciai a tremare e urlare: ”Mamma, papà! Aiuto!” intanto la mia voce si faceva sempre più bassa e stridula.

Il dolore mi diceva che dovevo fermarmi, ma nella mia testa pensavo:”Se mi fermo ora poi cosa penseranno di me i miei amici? Non voglio essere la meno avventurosa del gruppo”. Questi pensieri mi fecero cambiare idea e così continuai l’avventura.

Continuammo il sentiero fino alla fine per poi ritrovarci su un piccolo fiumiciattolo prosciugato.

Ma il brutto presentimento cominciava a farsi sentire, così questa volta lo dissi ai miei amici: ”Ragazzi state attenti, secondo me qualcosa di pauroso sta per accadere!” Mi risero dietro dicendo in coro: ”Vedrai che non succederà nulla!”.

Tutto avvenne in fretta. Pochi secondi dopo essere usciti dal sentiero, sentimmo dei forti rumori provenire da sopra un masso: cominciò il panico e tutti iniziammo ad urlare con tutta l’aria che avevamo in corpo: ”Mamma! Papà!".

Ci mettemmo a correre a più non posso e dopo pochi minuti ci ritrovammo in un campo pieno di pecore impazzite, ma per nostra fortuna vedemmo i nostri genitori che ci stavano venendo incontro.

Il primo ad arrivare fu mio papà che mi prese in braccio portandomi al sicuro, le sue braccia erano come un nido in cui sentirsi al riparo.Tornammo tutti a casa sani e salvi, dove riassaporai finalmente il silenzio e la tranquillità assoluta.

Dopo questa avventura io sono cambiata e maturata; ho capito due cose fondamentali per la vita: non essere mai troppo curiosi, perchè a volte la curiosità porta a dei guai, e che non bisogna fidarsi delle persone che non si conoscono.

Il mio consiglio per voi lettori è quello di avvisare sempre i vostri genitori anche per piccole cose e di ascoltare sempre le vostre sensazioni anche andando contro al parere degli altri.

 

 

                                                                                       M. C.      

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